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domenica 13 febbraio 2011

Quei tesori d'Egitto saccheggiati nella storia

di Viviana Mazza

Vetrine spaccate, preziose statuette in terracotta d'epoca faraonica ridotte in frantumi, due mummie a pezzi. Alcuni saccheggiatori l'altro ieri avevano approfittato delle proteste per penetrare nel Museo egizio del Cairo. Ieri è stato preso d'assalto il museo di Al Qantara nel Sinai, dove alcuni pezzi sono stati trafugati, altri danneggiati.
La storia dei saccheggi di reperti archeologici in Egitto è antichissima. Già prima di Alessandro Magno o dei romani (nella nostra capitale ci sono almeno 8 obelischi prelevati durante le conquiste), gli antichi egizi saccheggiavano già le tombe dei loro antenati. Lo prova un papiro di 2.700 anni fa, citato in passato da Zahi Hawass, il direttore del Consiglio supremo delle antichità in Egitto: il documento racconta che il governatore della sponda est del Nilo aveva accusato il governatore della sponda ovest di rubare reperti dalle tombe. Più a rischio quelle dei ricchi, coi gioielli d'oro dei defunti, gli oggetti in alabastro. Ma anche quelle dei poveri venivano depredate. Né le maledizioni iscritte sulle tombe, che minacciavano tremende punizioni nell'Aldilà, riuscivano a dissuadere i ladri.
Dalla campagna di Napoleone in poi, moltissimi reperti sono finiti all'estero. «Se ne sono approfittati sia gli egiziani che gli europei» racconta al telefono dal Cairo l'egittologo Ahmed Seddik. Uno dei più importanti è la Stele di Rosetta, che fu ritrovata nel villaggio di Rashid, vicino ad Alessandria d'Egitto, nel 1799 da un giovane ufficiale francese, Pierre-François Bouchard, che ne capì subito l'importanza vedendo che la stessa iscrizione appariva in tre diverse grafie: geroglifico, demotico e greco. Bouchard ne parlò a Napoleone, che la fece custodire al Cairo presso l'Institut d'Égypte, consentendo agli studiosi di farne delle copie. Ma quando i britannici sconfissero i francesi, stipularono l'accordo del 1801 che dava loro il controllo di tutte le antichità, e la Stele di Rosetta fu portata a Londra (è al British Museum). A partire dal 1805, sotto Mohammad Ali, pascià e viceré d'Egitto, moltissimi artefatti furono donati a stranieri. «Diede ai francesi un obelisco (di Luxor, che sta a Place de la Concorde, ndr) in cambio d'un orologio per la cittadella del Cairo, che tra l'altro non funziona». L'esploratore italiano Giovanni Battista Belzoni portò reperti in Europa e a godere degli scavi più ricchi e dei doni del suo amico pascià c'era anche il piemontese Bernadino Drovetti che servì nell'esercito di Napoleone diventando poi console francese in Egitto. È suo il ritrovamento del «Canone reale», frammenti di papiro preziosissimi (contengono un elenco delle dinastie che hanno regnato in Egitto nei millenni) custoditi al Museo egizio di Torino: Hawass li rivoleva indietro ma non c'è riuscito.
«I viceré che vennero dopo Mohammad Ali fecero anche peggio. Almeno lui aveva una causa, dava via le antichità perché voleva modernizzare l'Egitto. I successori le trattarono come fossero di loro proprietà» spiega Seddik, che pure ricorda che proprio in quegli anni fu creato il primo museo egizio. Fu introdotta anche una legge che consentiva agli europei che scoprivano antichità di dividere a metà i ritrovamenti con l'Egitto. «Ma a volte mentivano o ne nascondevano alcune» osserva Seddik. «È il caso del busto di Nefertiti». Capolavoro di 3.400 anni fa, in pietra calcarea e gesso dipinto, si trova da quasi cent'anni a Berlino. Ce lo portò il responsabile dello scavo di Amarna, l'archeologo tedesco Ludwig Borchardt. Berlino dice d'averlo acquisito legalmente. Ma secondo documenti rivelati dallo Spiegel, Borchardt avrebbe imbrogliato gli egiziani portando via la statua illegalmente, nascondendone il valore. Altri pezzi importanti: «Lo Zodiaco di Dendera, che sta al Louvre, rubato da Luxor durante la campagna di Napoleone. La statua di Hemiunu, l'architetto della Piramide di Cheope a Giza, che si trova in Germania». L'elenco è lungo. Solo nel 1922, con la scoperta della tomba di Tutankhamon, le cose iniziarono a cambiare: «L'Egitto prese coscienza del valore di quel patrimonio, rifiutò di dividerlo - dice Seddik -. Howard Carter, l'archeologo inglese, cercò di nascondere una statua del re ragazzo, ma lo perdonarono purché continuasse gli scavi».
La prima legge che vietava di esportare i reperti fu introdotta in Egitto nel 1983. Hawass è riuscito l'anno scorso a farne approvare un'altra, che prevede pene più dure per i ladri. Ha riportato in Egitto migliaia di reperti rubati. E mira a pezzi iconici come la Stele di Rosetta.

da: Corriere della Sera, 31 gennaio 2011, p. 13

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