di Rabih Alameddine
Qualche tempo fa un lettore spedì al mio editore una lettera deliziosa. Il libro gli era piaciuto moltissimo, spiegava, tuttavia voleva assicurarsi che l'autore, io nello specifico, sapesse che una storia, una delle centinaia di storie del romanzo, somigliava a un episodio della vecchia serie televisiva Ai confini della realtà. Voleva che l'autore capisse che, nonostante il romanzo fosse a suo parere estremamente fantasioso, quella particolare vicenda non era originale.
La lettera mi spinse a considerare una contraddizione, a chiedermi perché molti di noi, come lettori, o forse come società, diamo per scontato che l' originalità nasca dal niente, anche se sappiamo che ogni idea, ogni storia, ha un precedente. Nei ringraziamenti del romanzo avevo scritto: «Un cantore di storie è per natura un plagiario. Ogni cosa in cui si imbatte, ogni avvenimento, libro, romanzo, fatto della vita, persona, notizia di cronaca è un chicco di caffè che sarà pressato, macinato, mescolato a una punta di cardamomo, insaporito con un pizzico di sale, caramellato con lo zucchero e servito sotto forma di racconto succulento».
Ogni storia del romanzo è influenzata da un'altra storia, forse non da un episodio di Ai confini della realtà, ma da un racconto venuto da un altro luogo. Ogni storia, in ogni luogo, è ispirata da un chicco di caffè. Ogni pianta germoglia da un seme.
Rodin diceva: «Non invento niente, riscopro». I drammaturghi greci narravano storie che la gente conosceva bene. Il pubblico di Shakespeare aveva sentito le trame delle sue tragedie, delle sue commedie e ovviamente dei suoi drammi storici ben prima di prendere posto a teatro.
Un autore originale è dotato di occhi nuovi e di una nuova penna. Grazie a quest'ultima abbiamo l' impressione che la storia che stiamo leggendo non sia mai stata raccontata prima. Quando affronta un grande libro, il lettore non pensa mai a quali possano essere state le influenze della storia; viene rapito, inghiottito in un nuovo universo. L'occhio del lettore si concentra su ciò che l'autore vuole che veda.
Critici e docenti di letteratura insistono sul fatto che un buon romanzo sa aprirci gli occhi. Raramente ci ricordano che sa anche accecarci. Influenzato dai suoi predecessori, Rodin può anche essersi limitato a riscoprire, ma ciò che vediamo è originalità allo stato puro, è qualcosa che non abbiamo mai visto prima.
Nell'introduzione a uno dei miei libri ho scritto: «Uno scrittore è originale quanto l' oscurità delle sue fonti». Non riesco a ricordare se avevo sentito qualcosa di simile prima o se era farina del mio sacco. Ho cercato su Internet e ho trovato una citazione di Benjamin Franklin: «L'originalità è l'arte di nascondere le fonti»: sapevo che questa citazione non aveva influenzato la mia perché non ho mai letto niente di Franklin. Ovviamente poteva trattarsi di un'influenza indiretta. Come una storia, un detto vola di bocca in bocca, distorto e riscoperto strada facendo, finché un giorno lo prenderemo per un detto nuovo e originale.
Sono intrigato dall' idea delle influenze, ovvie o meno ovvie, visibili o nascoste, e dalla trasformazione di queste influenze in qualcosa di nuovo. Una casa per Mr Biswas può essere rimbalzato direttamente da Balzac a Tolstoj e a Forster, ma rivolgendo l'attenzione agli immigrati, scrivendo di una famiglia del Terzo mondo, Naipaul ha inventato un nuovo modo di raccontare la storia.
Occhi nuovi. Un autore influenza un altro autore; a volte l'influenza è chiara e limpida, a volte no. Una storia influenza un'altra storia. Eppure ciò che mi interessa di più sono le influenze della vita reale.
L'infanzia di Naipaul a Trinidad, la fuga a Oxford, il rapporto con il padre sono motivi che ricorrono nei suoi romanzi. In che misura le storie della vita reale condizionano l'originalità? Se un autore usa un'esperienza reale come fonte principale, come seme, sarà originale quanto uno che non lo fa? Che cosa è più originale: Se una notte d' inverno un viaggiatore di Italo Calvino (romanzo non basato su alcuna riconoscibile esperienza vissuta), Una casa per Mr Biswas (romanzo basato sull' esperienza personale dell' autore - Nabokov lo chiama autoplagio!) o A sangue freddo di Truman Capote (non-fiction romanzata basata su fatti reali non inventati)? Occhi nuovi, in tutti e tre i casi.
Nessuno di questi autori ha nascosto le fonti. Benjamin Franklin dev'essersi sbagliato. Forse mi sbaglio anch'io. O forse no, chi può dirlo?
Henry James scrisse una volta: «Tutto a Firenze sembra colorato di un tenue violetto, come vino diluito». È una descrizione magnifica. Ma provate a immaginare questa scena, attenzione, è solo un' ipotesi. James cammina per le vie di Firenze. La pioggia lo ha costretto in casa per un bel pezzo. Terminato il pranzo, un uomo leggermente ubriaco esce da un'osteria stringendo ancora il bicchiere di vino (si rifiuta di separarsene). Scivola sul selciato bagnato e rovescia il vino, che si mescola con l'acqua delle pozzanghere a terra. Vino diluito, pensa James, ed è lo stesso colore della pietra che ricopre, lo stesso colore di Firenze, un tenue violetto.
La descrizione sarebbe ancora originale quanto lo sarebbe stata se non avessimo saputo come era nata nella mente di James?
In Microcosmi Claudio Magris descrive la Mitteleuropa come «il grandioso e malinconico laboratorio del disagio della civiltà». Straordinariamente acuto. Immaginate Magris da bambino, a otto anni, in casa. Il padre dice, «Ci trattano come bestie: le grandi potenze dell' Est e dell'Ovest giocano a fare la guerra sulla nostra pelle, ci usano come cavie». La madre siede al tavolo da pranzo, elegantissima ma disperatamente malinconica. Immaginate.
Quando Benjamin Franklin scrisse: «L'originalità è l'arte di nascondere le fonti», voleva fare una battuta di spirito, però si sbagliava. Uno scrittore non deve nascondere le fonti. Spesso non sa neanche quali siano, queste fonti. Per quanto mi riguarda, so per certo che tra le mie non c'è nessun episodio di Ai confini della realtà, ma se anche ci fosse, spero che io, e il lettore insieme a me, sapremmo guardarlo con occhi nuovi.
da: Corriere della sera, 30 giugno 2009, p. 36.