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venerdì 3 luglio 2009

Ogni scrittore copia. Che lo sappia o no

di Rabih Alameddine

Qualche tempo fa un lettore spedì al mio editore una lettera deliziosa. Il libro gli era piaciuto moltissimo, spiegava, tuttavia voleva assicurarsi che l'autore, io nello specifico, sapesse che una storia, una delle centinaia di storie del romanzo, somigliava a un episodio della vecchia serie televisiva Ai confini della realtà. Voleva che l'autore capisse che, nonostante il romanzo fosse a suo parere estremamente fantasioso, quella particolare vicenda non era originale.
La lettera mi spinse a considerare una contraddizione, a chiedermi perché molti di noi, come lettori, o forse come società, diamo per scontato che l' originalità nasca dal niente, anche se sappiamo che ogni idea, ogni storia, ha un precedente. Nei ringraziamenti del romanzo avevo scritto: «Un cantore di storie è per natura un plagiario. Ogni cosa in cui si imbatte, ogni avvenimento, libro, romanzo, fatto della vita, persona, notizia di cronaca è un chicco di caffè che sarà pressato, macinato, mescolato a una punta di cardamomo, insaporito con un pizzico di sale, caramellato con lo zucchero e servito sotto forma di racconto succulento».
Ogni storia del romanzo è influenzata da un'altra storia, forse non da un episodio di Ai confini della realtà, ma da un racconto venuto da un altro luogo. Ogni storia, in ogni luogo, è ispirata da un chicco di caffè. Ogni pianta germoglia da un seme.
Rodin diceva: «Non invento niente, riscopro». I drammaturghi greci narravano storie che la gente conosceva bene. Il pubblico di Shakespeare aveva sentito le trame delle sue tragedie, delle sue commedie e ovviamente dei suoi drammi storici ben prima di prendere posto a teatro.
Un autore originale è dotato di occhi nuovi e di una nuova penna. Grazie a quest'ultima abbiamo l' impressione che la storia che stiamo leggendo non sia mai stata raccontata prima. Quando affronta un grande libro, il lettore non pensa mai a quali possano essere state le influenze della storia; viene rapito, inghiottito in un nuovo universo. L'occhio del lettore si concentra su ciò che l'autore vuole che veda.
Critici e docenti di letteratura insistono sul fatto che un buon romanzo sa aprirci gli occhi. Raramente ci ricordano che sa anche accecarci. Influenzato dai suoi predecessori, Rodin può anche essersi limitato a riscoprire, ma ciò che vediamo è originalità allo stato puro, è qualcosa che non abbiamo mai visto prima.
Nell'introduzione a uno dei miei libri ho scritto: «Uno scrittore è originale quanto l' oscurità delle sue fonti». Non riesco a ricordare se avevo sentito qualcosa di simile prima o se era farina del mio sacco. Ho cercato su Internet e ho trovato una citazione di Benjamin Franklin: «L'originalità è l'arte di nascondere le fonti»: sapevo che questa citazione non aveva influenzato la mia perché non ho mai letto niente di Franklin. Ovviamente poteva trattarsi di un'influenza indiretta. Come una storia, un detto vola di bocca in bocca, distorto e riscoperto strada facendo, finché un giorno lo prenderemo per un detto nuovo e originale.
Sono intrigato dall' idea delle influenze, ovvie o meno ovvie, visibili o nascoste, e dalla trasformazione di queste influenze in qualcosa di nuovo. Una casa per Mr Biswas può essere rimbalzato direttamente da Balzac a Tolstoj e a Forster, ma rivolgendo l'attenzione agli immigrati, scrivendo di una famiglia del Terzo mondo, Naipaul ha inventato un nuovo modo di raccontare la storia.
Occhi nuovi. Un autore influenza un altro autore; a volte l'influenza è chiara e limpida, a volte no. Una storia influenza un'altra storia. Eppure ciò che mi interessa di più sono le influenze della vita reale.
L'infanzia di Naipaul a Trinidad, la fuga a Oxford, il rapporto con il padre sono motivi che ricorrono nei suoi romanzi. In che misura le storie della vita reale condizionano l'originalità? Se un autore usa un'esperienza reale come fonte principale, come seme, sarà originale quanto uno che non lo fa? Che cosa è più originale: Se una notte d' inverno un viaggiatore di Italo Calvino (romanzo non basato su alcuna riconoscibile esperienza vissuta), Una casa per Mr Biswas (romanzo basato sull' esperienza personale dell' autore - Nabokov lo chiama autoplagio!) o A sangue freddo di Truman Capote (non-fiction romanzata basata su fatti reali non inventati)? Occhi nuovi, in tutti e tre i casi.
Nessuno di questi autori ha nascosto le fonti. Benjamin Franklin dev'essersi sbagliato. Forse mi sbaglio anch'io. O forse no, chi può dirlo?
Henry James scrisse una volta: «Tutto a Firenze sembra colorato di un tenue violetto, come vino diluito». È una descrizione magnifica. Ma provate a immaginare questa scena, attenzione, è solo un' ipotesi. James cammina per le vie di Firenze. La pioggia lo ha costretto in casa per un bel pezzo. Terminato il pranzo, un uomo leggermente ubriaco esce da un'osteria stringendo ancora il bicchiere di vino (si rifiuta di separarsene). Scivola sul selciato bagnato e rovescia il vino, che si mescola con l'acqua delle pozzanghere a terra. Vino diluito, pensa James, ed è lo stesso colore della pietra che ricopre, lo stesso colore di Firenze, un tenue violetto.
La descrizione sarebbe ancora originale quanto lo sarebbe stata se non avessimo saputo come era nata nella mente di James?
In Microcosmi Claudio Magris descrive la Mitteleuropa come «il grandioso e malinconico laboratorio del disagio della civiltà». Straordinariamente acuto. Immaginate Magris da bambino, a otto anni, in casa. Il padre dice, «Ci trattano come bestie: le grandi potenze dell' Est e dell'Ovest giocano a fare la guerra sulla nostra pelle, ci usano come cavie». La madre siede al tavolo da pranzo, elegantissima ma disperatamente malinconica. Immaginate.
Quando Benjamin Franklin scrisse: «L'originalità è l'arte di nascondere le fonti», voleva fare una battuta di spirito, però si sbagliava. Uno scrittore non deve nascondere le fonti. Spesso non sa neanche quali siano, queste fonti. Per quanto mi riguarda, so per certo che tra le mie non c'è nessun episodio di Ai confini della realtà, ma se anche ci fosse, spero che io, e il lettore insieme a me, sapremmo guardarlo con occhi nuovi.

da: Corriere della sera, 30 giugno 2009, p. 36.

giovedì 2 luglio 2009

Lezione di Fo: quei Giotto sono falsi

di Giuseppina Manin
MILANO - Giotto o non Giotto... Questo è il problema. Dario Fo, amletico giullare e attento studioso di storia dell'arte, pone l'ardita questione: di chi sono realmente gli affreschi della Basilica Superiore di Assisi? «Non di Giotto», risponde sicuro il premio Nobel ribaltando d'un colpo solo tutte le certezze tramandate dai libri di scuola e da miriadi di critici. «Il maestro di Bondone non è l'autore del ciclo delle Storie di San Francesco, ma solo dei dipinti della Basilica Inferiore, della magnifica Cappella della Maddalena», sostiene.
E per dimostrare la sua tesi Fo, a sua volta pittore di talento, porta in scena Giotto. Anzi, Giotto o non Giotto, come dice il titolo della lezione-spettacolo in due serate, giovedì e venerdì al Teatro Bonci di Cesena. «A dire il vero - precisa - questa anteprima avrebbe dovuto tenersi ad Assisi, proprio sul sagrato della Basilica o nel magnifico quadriportico sottostante. L'invito mi era arrivato direttamente dal sindaco di Assisi Claudio Ricci. E anche i frati francescani, con cui intrattengo ottimi rapporti dai tempi de Lo Santo Jullare Francesco, erano d'accordo».
Ma a mettersi di mezzo ecco che arriva, proprio come in un Mistero Buffo, un vescovo. Nel caso monsignor Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi. Saputo dello spettacolo, nega senza appello a Fo quella ribalta per proporre il suo Giotto «eretico». «Certo, il mio nome non è tra quelli con l'aureola... Certo ci sono scomode verità... Ma soprattutto quel divieto è un modo per la Chiesa di riaffermare la sua autorità sui frati. Proprio come ai tempi di Francesco. La storia si ripete».
La sacralità del luogo non c'entra. «Solo qualche settimana fa, in quello stesso spazio, lo stesso vescovo ha dato il benestare per uno spettacolo di varietà, ripreso dalla Rai, con Renato Zero e altri. Ma si sa, le canzonette non spaventano nessuno. Dimostrare pubblicamente che gli affreschi di Giotto non sono di Giotto, invece può infastidire molti». L'opinione in effetti è «scandalosa», ma condivisa, ricorda Fo, da studiosi come Bernard Berenson, Bruno Zanardi, Federico Zeri. «Ciascuno di loro pone seri dubbi sull'attribuzione a Giotto di quel ciclo. A mia volta, proseguendo su quella strada, ho scoperto altri indizi che confermano l'ipotesi».
Pitture di Giotto alla mano, proiettate su due grandi schermi, affiancate ad altri disegni realizzati da Fo a sostegno della sua narrazione, l'attore-autore illustrerà dettagli, confronterà immagini, stili pittorici. «E con l'aiuto dei "patroni", sagome-marionette usate dai pittori dell'epoca come base per gli affreschi, documenterò come quel ciclo su Francesco sia invece riconducibile a tre altri maestri del tempo: Cavallini, Rusuti, Arnolfo da Cambio».
Giotto no. «Giotto lì non c'è». Ci sarà invece, eccome, nelle pitture della Basilica Inferiore. «Dove lui rende omaggio a Maria Maddalena. Una figura che deve averlo colpito molto. Che tornerà in uno dei sublimi dipinti della Cappella degli Scrovegni, dove tra le Storie di Cristo Giotto fa comparire un bambino, rifugiato nelle vesti di un personaggio misterioso, spacciato sempre per un apostolo, in realtà, a ben guardare, proprio Maddalena. Quel bimbo è il figlio suo e di Gesù», azzarda Fo sulle orme di Dan Brown.
Giotto sì. E anche di più, nel secondo spettacolo. «Dove parleremo dei dipinti di Padova, agli Scrovegni, e di quelli di Firenze, in Santa Croce». Proprio nella piazza antistante quella splendida basilica, capolavoro del gotico, lì dove Benigni trionfò con il suo Dante, Fo racconterà il suo Giotto l'8 e il 9 sera. E quindi, il 24 e il 25 luglio, approderà a Perugia, a San Francesco in Campo. E se il giallo di Giotto non convincerà tutti, vale comunque ricordare Berenson: «Lasciamo che gli altri sciolgano il garbuglio. Noi godiamoci la sua irripetibile genialità».

da: Corriere della sera, 30 giugno 2009, p. 39.

Giotto, La cacciata dei mercanti dal tempio. Padova, Cappella Scrovegni