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lunedì 28 settembre 2009

Così il mito di Laocoonte conquistò Milano

di Carlo Bertelli

Il 14 gennaio 1506 segna una data storica nell'arte del Rinascimento. Quel giorno fu scoperto il gruppo del Laocoonte, subito riconosciuto come il capolavoro assoluto celebrato da Plinio. Da allora si ebbe un'idea assai più vitale e sanguigna dell'antico, ne conseguì una maggiore libertà inventiva. La ricerca condotta sotto la direzione di Gemma Sena Chiesa esplora i riflessi che l'opera suscitò nei ducati di Milano e Mantova da tanto tempo ansiosi di confrontarsi con gli esempi dell'antico.
Se consideriamo la Lombardia fuori dei ducati, la prima eco del Laocoonte in questa regione è nel polittico Averoldi dipinto da Tiziano per Brescia nel 1522. Molti indizi indicano che Tiziano fu a Roma una prima volta nel 1511 e non, come spesso si afferma, nel 1545. Indirettamente a Venezia ci porta la presenza attuale del Laocoonte in Lombardia. Il calco in gesso appartenuto a Leone Leoni (1509-1590) è pervenuto alla Biblioteca Ambrosiana. Nel 1533 Leone era a Venezia, amico di umanisti e pieno di ammirazione per la raccolta di antichità del cardinale Grimani. Dopo un viaggio a Roma, ritornò a Milano con numerosi calchi di statue antiche, tra i quali probabilmente vi era già il Laocoonte. Quando Carlo V vinse i Luterani a Muhlberg, nel 1547, Leone fu incaricato di eseguire una grande statua di bronzo dell'imperatore da erigersi a Milano.
Il bronzo è esposto al Prado dove, chi ha in mente il Laocoonte, facilmente riconosce nella personificazione della Furia, ai piedi dell'eroe vittorioso, una stupenda variante del Laocoonte. Nelle placchette del Moderno, un artista veronese attivo a Mantova, lo spasimo del sacerdote troiano assalito dai serpenti è trasferito all'immagine del Cristo flagellato, attribuendo un senso sacrificale alla tragedia di Laocoonte. A questa intuizione era giunto precocemente Gaudenzio Ferrari, che in un affresco di Varallo Sesia collocò una lunetta con il sacrificio di Laocoonte sopra la porta del Palazzo di Pilato. L'interpretazione del mito più inaspettata è quella di Luigi Ferrari, in una scultura che fu esposta a Brera nel 1837 ed è oggi a Brescia, nella Pinacoteca Tosio Martinengo. Il sacerdote sembra quasi incurante del serpente che si avvinghia al suo braccio sinistro ed è invece inorridito alla vista di uno dei figli caduto a terra e già morto. Così il mito è divenuto un dramma familiare.
Spero che queste poche segnalazioni suscitino l'interesse per questo insolito percorso lombardo intorno ad un capolavoro antico conosciuto a Milano solo attraverso i calchi e i disegni. Soprattutto mi auguro che questa puntuale ricerca desti un senso di vergogna in una città che ha trascurato e in parte distrutto (vedi i vandalismi di Brera) il patrimonio storico di calchi dall'antico che si vantava di possedere.

da: Corriere della sera, 11 febbraio 2008, p. 35.

Alla «fortuna» in terra lombarda del capolavoro celebrato da Plinio è dedicato il volume «Laocoonte in Lombardia. 500 anni dopo la sua scoperta», a cura di Gemma Sena Chiesa con Elisabetta Gagetti, pubblicato da Viennepierre edizioni (via Cimarosa 3, Milano), pp. 254, euro 18.