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venerdì 30 aprile 2010

Un viaggio a Roma


Visualizza I mosaici romani in una mappa di dimensioni maggiori

giovedì 29 aprile 2010

Musei «divini» a quota mille

Custodiscono capolavori, però faticano a farsi vedere. Parla monsignor Santi, neo-presidente delle «gallerie» ecclesiastiche

di Leonardo Servadio

Lo scopo è generare aggregazione, facilitare lo scambio di informazioni, rafforzare le competenze in campo. Monsignor Giancarlo Santi, forte dell’esperienza decennale maturata alla guida dell’Ufficio beni culturali della Conferenza episcopale italiana, è appena stato nominato presidente dell’Amei (Associazione musei ecclesiastici italiani) e ha idee molto precise sugli scopi che intende perseguire, ma anche sulle difficoltà da superare. «Tra le associazioni museali europee l’Amei, sorta nel 1996, è la più giovane. Dovremo trovare il modo di favorire la cooperazione: il che nel nostro Paese, prono al localismo, non è privo di problemi. Di recente, in occasione di un incontro a Caltanissetta, ho tratteggiato l’ipotesi di alcune iniziative concrete: anzitutto dar luogo a giornate formative, volte alla discussione dei servizi didattici offerti dai singoli musei, all’approfondimento del collegamento tra museo e flusso turistico, a esplorare le possibili collaborazioni con gli enti pubblici. Bisognerà inoltre individuare il modo migliore per tener vivi i contatti tra i circa mille musei ecclesiastici italiani: penso per esempio di attivare periodiche riunioni regionali, perché ogni area geografica ha caratteristiche proprie, che vanno valorizzate».

Qual è il curriculum per la formazione di chi si occupa dei musei?

«Non esiste. Le istituzioni accademiche formano eccellenti storici dell’arte, ben consapevoli dei problemi collegati alla ricerca e alla conservazione, ma al direttore di un museo si richiede qualcosa di più: la capacità di coordinare competenze in campo amministrativo, imprenditoriale e della comunicazione.
L’Amei dovrà quindi agire per integrare il sapere dello storico dell’arte. Un organismo dell’Unesco, l’Icom (International council of museums), ha elaborato un profilo professionale specifico per i gestori dei musei, che può essere un riferimento importante».

Qui si entra nell’annoso problema delle risorse: di cui la cultura è consumatrice e non produttrice...

«Entro i nostri confini vi sono solo due istituzioni considerabili 'redditizie': gli Uffizi e i Musei Vaticani, grazie all’imponente flusso di visitatori. E in questo periodo stanno diminuendo le risorse pubbliche a disposizione della cultura, mentre quelle private sono sempre state modeste; questo ovviamente costituisce un problema aggiuntivo per i musei ecclesiastici, che sono spesso di piccole o piccolissime dimensioni. Sarebbe utopico supporre di portare tutti i musei a condizioni di redditività: essendo un servizio importante per la formazione della persona, il museo – come la scuola – opera in un campo estraneo a quello della contabilità ed è giustificabile la sua gratuità. D’altro canto il patrimonio culturale non solo dev’essere conservato, ma anche valorizzato: il che a sua volta significa usarlo come strumento educativo e comunicativo. Bisogna quindi operare per aumentare l’attrattiva esercitata sul pubblico dai musei ecclesiastici, per esempio tramite iniziative collaterali, naturalmente studiate in coerenza con la vocazione del singolo museo: eventi speciali, esposizioni tematiche, momenti conviviali, eccetera. In mancanza di questi, una volta vista la collezione permanente, nessuno desidera più ritornare».

Anche un museo parrocchiale può mirare a imporsi all’attenzione?

«È questione di capacità gestionali, anche nelle realtà più piccole. Queste si giovano del costituirsi di 'reti', come è stato fatto a Bergamo, San Benedetto, in Valle d’Aosta e altrove. Le postazioni computerizzate nel museo diocesano ricollegano ai musei locali, indicandone i contenuti e i modi per raggiungerli.
Sarebbe opportuno studiare un progetto comune che in tutte le diocesi colleghi le istituzioni museali in percorsi, così che il visitatore sia indirizzato ad approfondire la conoscenza del territorio in tutte le sue articolazioni. Ma al di là di questo, la 'rete' funziona anche per ottenere un miglioramento qualitativo ed economie di scala. Per esempio in Sardegna diversi musei hanno standardizzato gli apparati espositivi. Con iniziative di questo genere si può concordare un tipo di espositore gradevole e funzionale, spuntando prezzi ridotti grazie al numero di esemplari ordinati; se a un singolo musei ne servono pochi, a una rete museale ne serviranno molti. La standardizzazione e l’interconnessione risultano immediate a livello informatico: e la presenza in Internet di siti dedicati funge anche da momento propagandistico. A Reggio Calabria i musei sono in Internet, e arrivano visitatori anche dall’estero. Occorre far maturare l’idea che i musei ecclesiastici non devono sopravvivere, ma essere ben gestiti, farsi conoscere e apprezzare».

C’è un problema di comunicazione...

«La capacità di comunicare è basilare: sia all’interno, sia all’esterno. Il sito Web di Amei va usato per confrontare e scambiare informazioni ed esperienze tra i diversi musei, e ogni museo può farsi conoscere con un proprio sito Internet.
Comunicare è essenziale: realizzare qualcosa senza farla conoscere è come non far nulla. Nel suo complesso, la 'rete' dei musei ecclesiastici italiani è la maggiore esistente: ricca di capolavori, capace di mostrare la storia della Chiesa in tutte le sue articolazioni, e di offrire la catechesi attraverso il coinvolgente linguaggio dell’arte, capace di parlare con pari impatto sia ai ragazzi, sia agli adulti.
Oltre a questo, il museo ecclesiastico è anche luogo privilegiato per il dialogo con gli artisti di oggi: potrebbe dar luogo a nuove committenze e offrire spazi espositivi per l’arte contemporanea; a Milano, e anche a Bergamo, Padova e altrove vi sono già iniziative in tal senso».
«Fare rete è fondamentale per sopravvivere, visto anche l’attuale calo di risorse pubbliche e private per la cultura
Solo collegandosi si riesce a farsi conoscere meglio, a creare percorsi turistici a tema, persino a realizzare importanti economie»

da: Avvenire, 24 aprile 2010, p. 27

domenica 11 aprile 2010

Liturgia tra arte e committenza

di Leonardo Servadio

«Penso a Israele, al tempo dei profeti: il popolo è depositario e custode della tradizione... ma si lascia anche offuscare da idoli seduttori, da facili chimere...». Andrea Dall’Asta, gesuita, direttore della Galleria San Fedele di Milano, riflette sul rapporto tra committente e artista. Perché nel vuoto lasciato dalla scomparsa di orizzonti comuni e nello sconcerto di un’estetica che ha attraversato il territorio della dissacrazione, da più parti ci si chiede dove stia la via maestra per ritrovare un orientamento, e si va facendo strada sempre più chiaramente l’idea che sia fondamentale la committenza, cioè la relazione che si instaura tra chi richiede l’opera (artistica o architettonica) e chi tale opera esegue. In che modo può meglio essere gestita la committenza oggi? il committente deve essere come in passato il singolo prelato o è meglio che coinvolga più soggetti, in certi casi intere comunità? Lo stato di ripulsa che si è registrato recentemente a fronte di opere importanti, come alcune nuove chiese, è dovuto a carenze culturali dei fedeli incapaci di comprendere il linguaggio attuale in cui si esprime l’estro creativo, a incapacità interpretativa dei progettisti o degli artisti, o a una committenza carente?
Dall’Asta punta il dito sulla preparazione del committente: «Nel passato era abitato da una profonda spiritualità oltre che da una grande cultura. E aveva la capacità di creare una rete di molteplici interlocutori: artisti, teologi, maestranze... Oggi si muove per lo più da solo e senza particolari competenze: lo vediamo dalla scarsa qualità di molte opere. Credo inoltre che manchi una seria riflessione sull’immagine. Spesso l’immagine sacra, invece di indurre a riflettere sul senso profondo della vita e sulla rivelazione di un Dio che si fa presente nella storia, è attraversata da un freddo estetismo, da un vacuo e sterile pietismo, da figurazioni banali e scontate: da una drammatica assenza di contenuti. Troppo spesso nelle manifestazioni di arte sacra troviamo immagini che vivono fuori dalla storia, offrendo troppo facili rassicurazioni».
Ma che c’è di sbagliato nella ricerca di una rassicurazione? «Penso sia importante distinguere tra ciò che è consolatorio e ciò che consola. Consolatorio è un po’ come dare una pacca sulle spalle mentre ci si volta dall’altra parte, limitarsi a un atteggiamento che non aiuta ad assumere la responsabilità etica della propria vita. Fa vivere in un mondo altro, senza chiedere al fedele di incarnarsi veramente in "questo" mondo per cambiarlo e trasformarlo. Penso a tante immagini mielose, dolciastre, senza presa sulla vita e sulla storia. Consolatore è invece l’atteggiamento di chi, mosso da un vero incontro con l’altro, si rivolge al mondo con uno sguardo di misericordia, per abitarlo e cambiarlo dall’interno. Oggi, mi sembra che il committente sia impreparato a cogliere il significato di questa sfida e non riesca a interrogasi sul senso profondo di quanto si deve chiedere all’artista: "quale esperienza spirituale desideri comunicare? In che modo l’immagine mi aiuta a vivere un’esperienza di preghiera, di relazione con Dio e con gli altri?"».
Una committenza allargata a più voci può sopperire? «Sulla base delle procedure vigenti e delle attuali problematiche è fuori di dubbio che la committenza ecclesiastica è rappresentata dal vescovo diocesano o da un suo delegato - specifica Francesco Buranelli, segretario della Pontificia Commissione Beni Culturali della Chiesa - ma forse non è sbagliato che vi sia un più ampio coinvolgimento di professionisti e fedeli, così da evitare che vi siano manifestazioni di insoddisfazione o dissenso dopo che l’opera è stata eseguita. Nella storia il rapporto tra committente e artista è sempre stato diretto, immediato ma non sono mancati casi problematici. Tra i tanti, ricordo quello riguardante l’intervento di Caravaggio nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma: morto il committente, gli eredi non accettarono l’opera per il suo eccessivo realismo e il pittore preparò nuove tele. Oggi la situazione è differente: Paolo VI, nel suo celebre discorso agli artisti, ha riconosciuto l’autonomia espressiva degli artisti rispetto al committente. Il problema diventa quindi più complesso e articolato; per quel che riguarda le opere con finalità liturgica bisognerà raggiungere una condivisione di obiettivi basata su una approfondita conoscenza delle fonti, pur nel rispetto dell’autonomia espressiva dell’artista. Committente e artista devono compiere un cammino comune: personalmente ho sperimentato questa procedura quando, ero direttore dei Musei vaticani, curai la sistemazione della nuova entrata. Il risultato è stato molto positivo; con l’artista o l’architetto si devono discutere a fondo tutti gli aspetti dell’opera, sul piano tecnico, teologico, filologico ed estetico. Senza evitare il sereno confronto; anche il rapporto tra Giulio II e Michelangelo ha avuto momenti di conflittualità, ma l’esito è stata la Cappella Sistina».
Che sia anzitutto "la committenza a fare l’architettura" è un fatto assodato secondo l’architetto Domenico Bagliani, docente al Politecnico di Torino e da trent’anni membro della Commissione liturgica dell’arcidiocesi piemontese: «Troppo spesso la Chiesa e l’architetto o l’artista non parlano la stessa lingua. E il discorso interrotto tra Chiesa e cultura moderna ha lasciato un vuoto in cui si sono inserite progettazioni mediocri», per cause spesso banali: «committenti mai sfiorati dal dubbio chiamano i professionisti più comodi, o perché più prossimi, o perché rispondenti al proprio gusto e alla propria cultura, a volte modesta». Allargare il dialogo a più soggetti può aiutare? «Dipende. A me è capitato negli anni ’70 di realizzare (con i colleghi Bellezza, Corsico e Roncarolo), grazie al sostegno di un parroco sensibile e nel clima del fermento post conciliare, un’importante opera nella neobarocca chiesa di San Giovanni Batista di Savigliano (Cn): abbiamo ruotato la disposizione dell’assemblea di 90°, così che potesse farsi fisicamente prossima all’altare, e posto un tabernacolo molto ben disegnato al posto del vecchio altare. Il parroco ha dovuto faticare molto per far capire ai fedeli il significato dell’opera che, cambiato il parroco, è stata negletta. Si vive un clima di smarrimento, beninteso, favorito anche dall’atteggiamento degli artisti».
«Non v’è dubbio che il progetto e la realizzazione di una nuova chiesa per una comunità parrocchiale debba vedere un adeguato e costante coinvolgimento della comunità - sostiene monsignor Giuseppe Russo, direttore del Servizio nazionale per l’edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiana - sin dall’inizio, anche prima di affidare l’incarico di progettazione. Occorre che si stabilisca un vero e proprio dialogo tra comunità, parroco, vescovo e gli esperti che dovranno interagire nella progettazione: liturgista, architetto e artisti. Così la scelta dell’impianto liturgico e della linea architettonica della chiesa sarà il punto di arrivo di un fecondo confronto tra le diverse componenti coinvolte, nel rispetto, da un lato delle aspettative e delle indicazioni della committenza, dall’altro della competenza, della professionalità e della creatività dell’équipe di progettazione».

da: Avvenire, 7 aprile 2010, p. 29

giovedì 8 aprile 2010

Apprendereinrete: didattica multimediale di Storia dell'arte curata da Giunti

Apprendo dal blog www.a061.it dell'esistenza in rete di uno spazio curato da Giunti dedicato alla didattica multimediale della Storia dell'arte ed in particolare all'analisi d'opera.
Le risorse più interessanti sono consultabili solo in rete e non sono quindi riutilizzabili in altri contesti ma mi sembra contengano ottimi spunti su cui riflettere per creare propri percorsi didattici. Ho trovato interessanti soprattutto le esercitazioni che mi sembra inizino ad abbandonare i vecchi schemi per tentare altre strade.
La vera sfida è proprio quella di inventare un modo nuovo di insegnare senza limitarsi a trasferire il libro di testo e le relative esercitazioni su un supporto diverso. Siamo solo all'inizio e qualunque aiuto è ben accetto.
Ecco il link: http://www.apprendereinrete.it/Risorse_online_per_la_scuola/Contenuti_multimediali/Giunti__Arte.kl