Pagine

sabato 9 gennaio 2010

«Passeggiata tra gli alberi dal Duomo al Castello»

di Armando Stella

Ricordate? «Il progetto nasce da un'idea di Claudio Abbado per riqualificare Milano, piantando 90 mila alberi: questo gesto costituirà un significativo contributo verso una città più vivibile, più sostenibile e più bella». Il lavoro di studio ora è chiuso. Nelle pagine del masterplan firmato da Renzo Piano e consegnato il 21 dicembre c'è una «visione complessiva del futuro urbano di Milano».
Una rigenerazione verde. Filosofia e giardinaggio. Riscoperta delle tracce austriache e francesi, ma vocazione Expo. Una rivoluzione etica, prima che estetica: tutti gli alberi - si inizia con oltre 3 mila tra frassini, aceri, platani e cedri - saranno «piantati in piena terra perché solo in questo modo si garantisce lo sviluppo della pianta». È la città nel verde già proposta da Luigi Figini («Grandi vegetazioni di bosco e di giardino»): Piano ha censito le aree adatte a innesti e integrazioni, da piazza Duomo all'ultima periferia, dalle radiali del centro alle circonvallazioni di fine Ottocento, fino agli spaccati in cui il quadro architettonico «è spesso modesto, talvolta triste e squallido». Il progetto definitivo presenta 12 luoghi simbolo (case study): il primo intervento, la «passeggiata alberata dal Castello al Duomo», sarà realizzato in primavera.
La sfida del maestro Abbado si fa concreta. Il masterplan prevede una rete d'alberi che innerva Milano e la collega al suo «limite naturale», l'anello orbitale dei parchi. Ma l'operazione più delicata è al cuore della città: piazza Duomo. Qui, sull'aiuola posizionata di fronte a Palazzo Carminati, Piano descrive un «blocco» di carpini su un basamento alto un metro e quaranta, una pedana pensata come «luogo piacevole d'incontro e di sosta»: «L'intervento non è un'alberatura, o un inverdimento della piazza del Duomo - si legge nel progetto - ma si pone nel solco di un dibattito aperto, da sempre, sull'incompiutezza dell'intervento di fine Ottocento». Il boschetto è una «citazione»: gli alberi sono il «fondale adeguato» per chiudere la piazza, la quinta scenica che sostituisce il Palazzo dell'Indipendenza mai realizzato dall'architetto Giuseppe Mengoni. E se poi non dovesse piacere? Il fondale ha una «caratteristica interessante», rassicura Piano: «La facile reversibilità dell'intervento». Come si alza, si toglie.
«Qui faccio solo il contadino e il geometra per Claudio», ha ironizzato l'architetto. La riforestazione di qui al 2015 - sviluppata in accordo con Comune e Soprintendenza - s'inserisce nel Piano del verde di Palazzo Marino e affianca Raggi verdi e Boschetti di benvenuto in periferia. Il team di Piano ha già verificato la «compatibilità» degli interventi con tram, parcheggi e flussi di traffico. Responso: si può fare.
Via Dante avrà 220 frassini (o aceri), un doppio filare con le chiome a 4,50-5 metri dal suolo per non «disturbare» i dehors dei caffè e «non intralciare visivamente» i negozi. In piazza Cordusio sarà ridefinita l'aiuola centrale ellittica «con una copertura erbosa» (o l'edera). Corso Genova, «radiale della città storica», 89 alberi. E proseguendo: 96 piante tra via De Amicis e Molino delle Armi (un filare continuo sul lato meridionale), 100 in viale Bligny e altrettante in Porta Volta, almeno 200 tra via Fiori Chiari, piazza del Carmine e via Formentini, circa 7 mila nel quadrilatero di corso Indipendenza.
È una teoria di filari rigogliosi, sul modello dei boulevard del piano Masera d'inizio Novecento, non di sterili decorazioni in vaso (tipo: Vittor Pisani). La dote maggiore sarà riservata a circonvallazioni e periferie: un migliaio d'alberi lungo i viali delle Regioni, 600 al Forlanini e 180 in Palmanova, 1.250 in via dei Missaglia, un migliaio tra largo Tel Aviv e via Cesana.
Oltre a «ingentilire» strade e piazze, il bosco urbano avrà un impatto enorme sulla qualità dell'aria: i 90 mila alberi assorbiranno 36 tonnellate di polveri sottili e 2,7 milioni di chilogrammi di anidride carbonica. L'effetto? «Un raffrescamento estivo pari a 110 mila condizionatori funzionanti 24 ore su 24». Non basta? La città verde «compensa l'inquinamento corrispondente a 4.500 autovetture l'anno». Meglio di Ecopass.

Il cachet verde voluto da Abbado: «Il maestro alla Scala il 4 giugno»
In principio fu una provocazione sinfonico-ecologista. Era il 30 dicembre 2008: cosa dovrebbero offrirle, maestro, per tornare a dirigere alla Scala? «Un cachet fuori dall'ordinario. Novantamila alberi piantati a Milano. Un pagamento in natura. Se accadrà, sono pronto a tornare. A Milano, alla Scala». La scommessa è vinta: Claudio Abbado sarà sul podio del Piermarini il 4 e il 6 giugno 2010 con l'Ottava Sinfonia di Mahler, dopo 24 anni di assenza dal teatro. La provocazione è stata subito raccolta dal soprintendente Stéphane Lissner, dal sindaco Letizia Moratti e dall'ex presidente della Provincia, Filippo Penati. Il progetto dei «90 mila alberi per Milano - 220 alberi sull'asse di via Dante» è stato definito in un anno di lavoro da un gruppo di amici di Abbado, sotto la regia di Renzo Piano: l'idea è stata tradotta in realtà dall'architetto premio Pritzker nel 1998 assieme con Alessandro Traldi e Franco Giorgetta, con il coordinamento di Alberica Archinto, la consulenza di Guido Rossi e Giorgio Ceruti, in «stretta collaborazione» con il soprintendente ai Beni architettonici, Alberto Artioli, e con l'assessorato comunale all'arredo urbano di Maurizio Cadeo. Un lavoro certosino. Fatto di sopralluoghi e rilievi preliminari, analisi sulle aree da piantumare e indagini sugli ambiti da rinverdire: «La coesistenza delle alberature con i sottoservizi» - cavi, tubi e fibra ottica - «sarà invece indagata di volta in volta e caso per caso». Il sindaco Moratti si disse sicura, nell'aprile scorso, «che con l'aiuto del maestro abbatteremo ostacoli e resistenze». Ha avuto ragione. Il progetto è stato rifinito e condiviso da Piano con la soprintendenza persino sull'ambito d'intervento più delicato, il «volume» di alberi in piazza Duomo, un'innovazione che recupera e rispetta la tradizione: «Non si tratta solo di interventi estetici - commenta Artioli -. Il progetto del verde è un lungo cammino che può accompagnarci fino all'Expo 2015. E rappresenta l'idea di un modo diverso di vivere la città». Si stima, infatti, che i 90 mila alberi possano «abbassare» di 3 o 4 gradi la temperatura estiva di Milano. Un antidoto al processo di riscaldamento del suolo? Sì. Ma non è il caso di parlarne in questi giorni di allarme neve.

da: Corriere della Sera, 4 gennaio 2010, pp. 4-5

«L' occhio del critico d' arte vale più della scienza». Errori compresi

di Vittorio Sgarbi

L'attribuzione di opere d'arte antica è questione complicata, ed è improprio ridurla all'errore dell'esperto, limitandone il rigore del metodo in favore di un intuito quasi magico. In realtà, il conoscitore d'arte, che procede con gli strumenti prevalentemente sensoriali, dai quali deriva l'«attribuzione», elabora dati di diversa natura, riscontri formali, indizi, elementi storici. Con l'approfondimento dell'osservazione, il suo modo di procedere è assimilabile a quello del detective. Non sempre si individua il colpevole, ma in molti casi le prove sono schiaccianti. Per questo, davanti a incertezze, o a misteri non risolti, è meglio parlare di insufficienza di prove piuttosto che di errori e, per questo, è bene tornare sull'articolo «Troppi errori, scacco all'esperto d'arte», dove si mettono insieme aspetti diversi: falsi, attribuzioni sbagliate, perizie in malafede.
Nello studio della Storia dell'arte, se si intenda come evoluzione della conoscenza, non vi è altro metodo che quello dell'attribuzione, indipendentemente dagli «errori». Vi sono bensì altre discipline, come l'iconologia, ovvero lo studio del contenuto delle immagini, le ricerche stilistiche, le ricerche archivistiche che servono a trovare i riscontri documentari, anche senza confrontarsi direttamente con le opere. E poi ci sono le grandi storie generaliste, descrizioni, riassunti, interpretazioni, come accade anche per la letteratura.
Da questo punto di vista le storie dell'arte, di Argan e di Gombrich, sono come la Storia della letteratura italiana di Sapegno: compendi di ciò che già si sa. Una visione dall'alto. La conoscenza, invece, parte sempre dal basso, e tende ad aggiungere, a integrare il nuovo a quanto già si sa, con continue variazioni che mutano l'insieme del sapere storico, sempre nuovo e sempre mutevole. Come insegna Croce, non esiste una storia della creatività umana; si inseguono, nell'ordine cronologico, le diverse individualità, spesso imprevedibili. Così che l'arte, oltre tramandi e continuità delle botteghe, è storia di individui. Per questo è così importante l'attribuzione, che consente di aggiungere opere nuove alla produzione di un artista del passato, cambiandone la percezione e la fisionomia, e talvolta facendo nascere persone nuove, nascoste nell'anonimato. È un lavoro complesso e difficile, di sostanziale filologia, anche se basato su quelle che possono apparire illuminazioni improvvise; e altro non sono che il punto di arrivo di una conoscenza dinamica, perennemente insoddisfatta. Poi ci sono le debolezze, le fissazioni, i limiti: ma questi ultimi non sarebbero evitabili con un culto astratto della scienza, delle ricerche chimiche e altre diavolerie succedanee della imperfezione dell'occhio, se è vero che per le celebri «pietre» di Modigliani gli esperti garantivano, confortando i critici, che le opere erano state sott'acqua per circa ottant'anni!
Le vicende che Pierluigi Panza mi ha fatto ricordare in quell'articolo, sono in realtà tre esempi di infallibilità attributiva. Il primo non riguarda Fiocco, ma Longhi, che riconobbe il Tramonto di Giorgione, ora alla National Gallery di Londra, ma non lo dichiarò subito, perché le commissioni della Soprintendenza ne consentissero l'esportazione. Come puntualmente avvenne. Poi pubblicò il dipinto in Viatico per cinque secoli di pittura veneziana. L'architetto e studioso Andrea Busiri Vici, per eccesso di occhio, ebbe invece uno spiacevole incidente, che egli stesso ci racconta: individuò da un antiquario la Caccia in valle di Carpaccio, parte superiore delle Cortigiane del Museo Correr di Venezia, pagandola una piccola cifra. Ma fu portato in tribunale dal mercante che glielo aveva venduto; il quale, proclamando la sua ignoranza e inferiorità culturale, ottenne dal giudice una cospicua reintegrazione del prezzo. In entrambi i casi, come nel terzo relativo al Negazione di Pietro di Caravaggio certamente esportato abusivamente, si tratta di conferme della efficacia del metodo per tre capolavori, comunque sia, recuperati grazie all'occhio dell'esperto. Senz'altra conferma, senza documenti. Pura intuizione, frutto di approfondita conoscenza.

da: Corriere della Sera, 8 gennaio 2010, p. 37

mercoledì 6 gennaio 2010

Troppi errori, scacco all' esperto d' arte

di Pierluigi Panza

Come nelle indagini giudiziarie la «prova scientifica» sta mettendo in secondo piano il «lombrosiano» sesto senso del commissario di polizia, così nel mondo dell'arte le analisi tecniche e i troppi errori di autografia commessi dai conoscitori stanno mettendo in discussione la figura dell'esperto attribuizionista. Una figura professionale sviluppatasi con Giovanni Battista Cavalcaselle e Giovanni Morelli (un medico che individuava gli autori sulla base dell'anatomia delle figure dipinte) nell'Italia dell'Ottocento e che ha avuto grande successo nel passato secolo. Agendo, però, talvolta in malafede e di tanto in tanto riempiendo i musei - specie americani - di falsi, come racconta lo storico dell'arte inglese John Brewer in Ritratto di dama partendo da un caso emblematico: il processo a carico del critico d'arte americano Joseph Duveen, intentato dai coniugi Andrée e Harry Hahn, proprietari di una versione di La Belle Ferronière di Leonardo. Duveen, sostenuto anche dai pareri di Bernard Berenson e di altri mammasantissima della critica, affermò che quel regalo di nozze pervenuto agli Hahn dalla zia francese non fosse un autografo di Leonardo. Gli Hahn, che volevano vendere la tela, lo citarono per danni e i giudici del processo che ne seguì ritennero Duveen incapace di provare la propria affermazione. E così, nella primavera del 1930 fu costretto a pagare 60 mila dollari alla coppia. Ma questo è solo un caso irrisolto di attribuzione tra molti casi risolti a sfavore di illustri esperti. Tra le peggiori sconfitte della connoisseurship vanno indicati i procedimenti penali contro il mercante d'arte Otto Wacker (Berlino 1932), per aver falsificato una serie di van Gogh ritenuti veri dai conoscitori, e contro il pittore olandese Han van Meegeren (Amsterdam 1945) per aver copiato dipinti di Vermeer che esposero gli esperti al ridicolo.
Cose vecchie, si dirà. Ma si può proseguire. L'errata attribuzione a Modigliani da parte dell'accademico Giulio Carlo Argan delle finte teste realizzate da quattro ragazzi e ritrovate nel Fosso Reale di Livorno è del settembre 1984. E anche dopo la «prova televisiva» offerta dai ragazzi Argan affermò con ostinazione: «La prova televisiva è stata un'esibizione pietosa. Chiunque avrebbe potuto constatare come quei giovani non fossero in grado di fare alcunché. Escludo nel modo più assoluto che a realizzare la testa ripescata siano stati loro». L'anno scorso venne mostrato a «Porta a Porta» il Narciso attribuito a Caravaggio: ma l'autografia dell'opera è stata da tempo spostata dai maggiori conoscitori allo Spadarino. Sui Caravaggio veri e presunti, da Longhi in poi, le attribuzioni si sono sprecate. Di questi giorni è la controversia sull'attribuzione a Michelangelo del Crocifisso in legno di tiglio databile tra il 1494 e il 1495 acquistato dallo Stato italiano per tre milioni; il ministero ha dichiarato che aveva avuto «l'ok dai tecnici» nel 2007, ma la Corte dei Conti ha avviato una istruttoria per possibile «danno erariale» e il caso è finito nei Palazzi di Giustizia.
Tutto questo mostra, come minimo, che è tramontata la stagione dei cosiddetti grandi conoscitori come Bernard Berenson, Roberto Longhi e Federico Zeri. I quali, tuttavia, «non furono per nulla immuni da errori e discutibili attribuzioni», afferma anche il conoscitore di oggi, Vittorio Sgarbi. Che enumera vari aneddoti: «Giuseppe Fiocco lasciò andare in Svizzera un Giorgione, ma lo attribuì solo quando il quadro era già a Londra. Andrea Busini Vici comprò per pochi soldi la parte superiore delle Cortigiane di Carpaccio. Quando il quadro andò al Getty fece l'attribuzione. Il venditore gli mosse allora causa e il giudice diede torto al compratore, che fu costretto a pagare un risarcimento. Quanto al Rinnegamento di Pietro di Caravaggio, Longhi disse che era di Battistello Caracciolo; ma sapeva che era del Merisi. Ora il quadro è a New York».
C'è poi il caso della cosiddetta Morte di Sansone di «Rubens» del Getty: l'opera era stata venduta dalla famiglia Corsini per 400 milioni nel 1991 a tre antiquari milanesi. Questi l'attribuirono a Rubens e la rivendettero al Getty - che fece periziare l'opera da Michel Jaffè - per 7 milioni di dollari. Quando nel '99 l'opera tornò in mostra in Italia, il conoscitore Edward Safarik, nominato dal pretore di Firenze nel processo contro la famiglia Corsini, stabilì che l'opera non era di Rubens ma di autore sconosciuto. «Ciò non toglie - conclude Sgarbi - che non c'è possibilità di essere un critico d'arte se non si è attribuizionisti. L'attribuzione trasforma un'opera da morta a viva. L'occhio del conoscitore mette insieme gli elementi costitutivi dell'opera, e sa attribuire soprattutto le opere dei minori e sconosciuti».
Ma anche sopravvivendo, la figura dell'esperto è, come minimo, costretta a cambiare. «La sua professione si fonda su un sapere specifico - afferma la soprintendente Cristina Acidini - e non delegabile. Ma oggi è diventato interdisciplinare: il conoscitore somma la sua esperienza nata dalla conoscenza diretta delle opere con la ricerca d'archivio e le incrocia con le indagini scientifiche, come la luminescenza per la datazione». Luminescenza, esame del carbonio 14, indagini geotermiche sono oggi strumenti più oggettivi per datare e attribuire le opere - non per comprenderle - dell'occhio del conoscitore. Non c'è convegno dove non vengano presentate «nuove scoperte» scaturite da riflettografia multispettrale che vede sotto i pigmenti, o da indagini laser a elettroni liberi, o altre onde elettromagnetiche, condotte sui dipinti. Quel che resta dell'esperto d'arte è passato dall'essere «solista» come Berenson («che vendette opere a mezza America che non corrispondevano a quanto diceva») a «direttore d'orchestra», conclude la Acidini. «Ma bisogna anche rassegnarsi: alcune controversie di attribuzione non sono risolvibili in alcun modo».

da: Corriere della Sera, 4 gennaio 2010, p. 24