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martedì 20 luglio 2010

Assolto il re della «street art»

di Redazione online

MILANO - Il writer Daniele Nicolosi, in arte Bros, uno dei principali esponenti della «street art» italiana, è stato prosciolto a Milano dall'accusa di aver imbrattato alcuni edifici. Il giudice ha dichiarato la prescrizione per un episodio, un graffito sulle mura del carcere di San Vittore; l'estinzione del reato perché è stata ritirata la querela riguardo ad un edificio privato; mentre in un terzo caso ha giudicato improcedibile la causa per mancanza della querela. In sostanza, il giudice monocratico della VI sezione penale di Milano, Guido Piffer, non ha assolto nel merito delle accuse il writer milanese di 28 anni, ma ha dichiarato o i fatti prescritti o improcedibili per mancanza o remissione della querela. Il Comune di Milano, invece, costituitosi parte civile, aveva chiesto la condanna di Bros - che ha al suo attivo importanti mostre e cataloghi - al pagamento di una provvisionale per un totale di 18 mila euro, anche per danni di immagine, oltre che per le spese sostenute dall'amministrazione per pulire gli edifici dai graffiti, sostenendo che quello praticato da Bros fosse un deturpamento e un imbrattamento di edifici pubblici e privati. La difesa, invece, aveva «puntato» sull'arte del giovane milanese, sostenendo che quelle realizzate dal writer sono forme di espressione artistica e dunque non possono essere punite come reato.
I graffiti contestati - Al vaglio del giudice Guido Piffer della sesta sezione penale c’erano i graffiti realizzati da Bros sul muro del carcere di San Vittore, sulla pensilina del parcheggio delle biciclette alla fermata della metropolitana di piazzale Lodi e sulla sede di un’immobiliare di via De Angeli 4. Quest’ultimo, Bros, 28 anni, lo aveva realizzato nel 2007 insieme a un altro writer, pure denunciato, ma la proprietaria ha rimesso la querela. Di qui il primo non luogo a procedere per remissione di querela, appunto. Invece Bros è stato poi prosciolto per difetto di querela per quando riguarda l’opera realizzata sempre nel 2007 sulla pensilina di piazzale Lodi perché, esclusa dal giudice l’aggravante dell’aver imbrattato un muro nel centro storico della città, il writer sarebbe stato perseguibile non d’ufficio, come è accaduto, ma solo con una querela da parte dell’Atm. Infine, il giudice ha ritenuto prescritto il caso del graffito di San Vittore, perché realizzato nel 2004. Piffer, che ha accolto tutte le richieste del pubblico ministero Ivana Casale, tra trenta giorni depositerà le motivazioni. A carico di Bros resta dunque solo il costo della remissione della querela da parte della proprietaria dell’immobile privato, che ammonta a circa 75 euro.
«ARTE O VANDALISMO: RESTA IL DILEMMA» - Il 28enne milanese, tra i più noti esponenti della «street art» europea, che ha tra l’altro esposto le sue opere al Pac e al Palazzo Reale del capoluogo lombardo, non è stato quindi condannato ma nemmeno assolto nel merito delle accuse, dato che il giudice non ha sancito, come l’artista sperava, che i graffiti sono arte e non imbrattamento, o peggio vandalismo. Uno scontro culturale ancora prima che giudiziario, che ha contrapposto in questo processo accusa e difesa, con quest’ultima che aveva chiesto l’assoluzione con formula piena per Bros, reo solo di aver esercitato la propria arte. L’imbrattamento è un reato che, con la riforma del luglio 2009, ha visto un inasprimento delle pene e il passaggio della competenza dai giudici di pace a quelli dei tribunali ordinari. E il processo a Bros era il primo a venir celebrato con le nuove norme. «Con questa sentenza non si è risolto di certo l'enigma tra arte e vandalismo», ha commentato Bros. Sulla concezione del graffito come opera d'arte, aveva puntato molto la difesa del giovane writer, che aveva chiesto l'assoluzione con formula piena. «Sono contento perché non dovrò pagare tutti questi soldi», ha spiegato il giovane, che ha chiarito inoltre che avrebbe preferito «un'assoluzione nel merito». Per il futuro, ha concluso, «non cambia niente, io continuerò a portare in giro la mia arte».
DE CORATO: «LA LEGGE NON PREVEDE DISTINZIONI» - «La legge non prevede distinzioni tra graffitari di serie A e di serie B. Per Bros, come per gli altri autorevoli o sedicenti esponenti della street art, non si capisce perché si dovrebbero fare delle eccezioni - ha detto Riccardo De Corato, vicesindaco del Comune di Milano, commentando la decisione dei giudici milanesi. De Corato, che si è costituito parte civile nel processo al writer, ha poi aggiunto: «A quanto pare il signor Bros è doppiamente fortunato, perchè già il pm aveva deciso di esercitare l'azione penale solo per due dei 17 episodi contestati dalla polizia locale. Episodi per cui il Comune ha chiesto un risarcimento di 18mila euro. E successivamente, - ha concluso - in virtù della prescrizione e di una querela dei vigili che misteriosamente è stata smarrita in Procura, è finito tutto a tarallucci e vino».

da: Corriere della Sera - Edizione online, 12 luglio 2010

lunedì 19 luglio 2010

Il "Disco del Sole" in piazza Meda

Da circa un mese il "Disco del sole" di Pomodoro è tornato in piazza Meda.

martedì 13 luglio 2010

Museo Madre, incubo chiusura

di Vincenzo Trione
Cronaca di una morte annunciata. Un nuovo capitolo dell'infinita storia dei mali culturali italiani? Miope attacco a uno tra i pochi momenti felici di una città segnata spesso da speranze infrante? Dopo l'Auditorium di Ravello, anche il Madre rischia di chiudere. I fatti, innanzitutto. Il 9 giugno, poco dopo l'insediamento della nuova giunta regionale, viene presentato un report, che esamina le attività del museo d'arte contemporanea di Napoli nel biennio 2007-2009. Un documento che descrive uno straordinario (ma dispendioso) fervore di eventi, tra mostre, spettacoli, proiezioni; e indica strade per un possibile sviluppo, proponendo netti tagli dei costi: una scelta obbligata, in una stagione di austerity.
Intanto, diventano pressanti le emergenze relative all'amministrazione ordinaria e alla programmazione espositiva. Il direttore, Eduardo Cicelyn, il 22 giugno invia al neopresidente della Campania, Stefano Caldoro, una lettera. Precisa che il Madre - di proprietà della Regione Campania - è gestito da una società per azioni, Scabec, che cura struttura e servizi. Inoltre, Cicelyn dice di aver ricevuto il 17 giugno dall'amministratore delegato di Scabec, Giovanna Barni, una comunicazione nella quale si annuncia l'impossibilità di proseguire nelle anticipazioni di spesa per le iniziative del museo. Immediate, le conseguenze. Viene cancellata Il ventre di Napoli, collettiva di giovani artisti (prevista per l'8 luglio): non ci sono risorse per pagare viaggi, ospitalità, allestimento. «Perché questo disastro?» si chiede Cicelyn. Nessuna risposta.
Qualche giorno dopo. La situazione si fa più difficile. Cicelyn scrive nuovamente a Caldoro, riportando una nota dove la Scabec annuncia che «non sarà più in grado neppure di assicurare i pagamenti delle utenze del museo e che pertanto potrebbe verificarsi il distacco delle utenze stesse entro la prima decade del mese di luglio». A rischio non è più una mostra, ma la sopravvivenza stessa del Madre. «Questa indecisione potrebbe portare al sicuro danneggiamento del patrimonio delle nostre opere» afferma Cicelyn. Se si dovesse verificare la sospensione della fornitura di energia in piena estate, infatti, oltre all'impossibilità di garantire l'apertura delle sale al pubblico, si assisterebbe al deperimento per il caldo di quadri, sculture e installazioni, provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private.
Una vicenda tragica e, insieme, grottesca. Stiamo varcando la soglia del comico, ha detto Cicelyn nella conferenza stampa di ieri. La questione è drammatica. E rivela evidenti approssimazioni e responsabilità politiche. Com'è stato possibile arrivare a questo punto? In qualsiasi contesto europeo, scenari analoghi sarebbero impensabili. Pur se con alcuni eccessi e qualche spreco (forse indispensabile in una fase di start-up), siamo dinanzi a una realtà culturale che, in quattro anni, è diventata tra le più vivaci a livello europeo, come attestano i giudizi di autorevoli media internazionali. Dal 2006, qui si sono tenute antologiche di sicura qualità critica (dedicate, tra gli altri, a Kounellis, a Fabro, a Boetti, a Clemente, a West), oltre a esposizioni tematiche stimolanti (come Barock). Si tratta di una realtà che ha raccolto e sviluppato l'eredità del lavoro svolto, sin dagli anni sessanta, da galleristi come Amelio, Rumma, Morra, Trisorio e Caròla, i quali ebbero il coraggio di portare il «nuovo» in una Napoli ancora conservatrice, sopperendo a un vuoto istituzionale.
Sulle orme di queste esperienze, il Madre sembra aver anticipato la moda dei musei d'arte contemporanea sempre più diffusa nel nostro Paese: esemplare il caso di Roma, con il Macro e il Maxxi. Siamo di fronte a un modello, unico nel panorama attuale. Non un cenotafio (per dirla con Jean Clair) né un involucro spettacolare. Ma una cattedrale bianca, disegnata con eleganza da Alvaro Siza, capace di saldare rigore della cornice e qualità delle opere presentate. Un edificio che ospita la collezione permanente, installazioni site specific, mostre temporanee.
Determinante per questa avventura è stato il sostegno dell'ex governatore, Antonio Bassolino. A circa 100 giorni dall'elezione di Caldoro, appare del tutto incerto il destino di questo spazio, diventato anche un significativo presidio sociale, con l'intento di valorizzare una zona piuttosto difficile e popolare del centro di Napoli, sul modello di quanto ha fatto il Macba di Barcellona, alle spalle delle Ramblas. Ma la domanda è più radicale: questo spazio avrà un destino?
Certo, è auspicabile un ridimensionamento della grandeur che ha contraddistinto il biennio 2007-09. Si potrà anche immaginare un turn over, che porti alla sostituzione del direttore: è una consuetudine diffusa un po'ovunque in Europa. Ma la Regione ha un dovere etico: difendere questo museo. Considerarlo non come la «casa di Bassolino», ma come un bene comune, frutto di sforzi economici e di energie intellettuali. Non ridimensionarne le ambizioni, trasformandolo in un contenitore con prospettive localistiche. Né giudicarlo solo come un «peso» improduttivo. Non attutirne lo slancio (è quanto sta avvenendo al Castello di Rivoli e al Mambo di Bologna). Anzi, provare a razionalizzarne orientamenti, spese. Insomma, potenziare ulteriormente questo che è un tassello importante nella valorizzazione dei linguaggi contemporanei. Occorre un indirizzo chiaro: subito. Non vorremmo dare ragione a Lucio Amelio il quale, in una delle sue ultime interviste (del 1993), lamentando l'indifferenza della classe politica partenopea nei confronti della cultura e dell'arte, disse: «Napoli oggi è una città alla deriva, un bateau ivre, una barca senza timone. Una città con un grande cuore, ma senza una testa».
* * *
Il Museo d'arte contemporanea Donnaregina (Madre) di Napoli, nel cuore del centro storico e popolare di Napoli, ha una superficie complessiva di 7.200 metri quadrati (di cui 2.660 destinati alle aree espositive). È stato inaugurato (parzialmente) l'11 giugno 2005, l'apertura completa risale al 2007, gli spazi espositivi sono stati progettati dell'architetto portoghese Alvaro Siza

lunedì 12 luglio 2010

La surreale storia dell' Auditorium

di Paolo Conti

L'italianissima parabola del sinuoso Auditorium di Ravello, appena inaugurato ma chiuso e inutilizzabile proprio nelle ore in cui si apre il Ravello Festival 2010, sicuramente interesserà Renato Brunetta, non come ministro ma nella sua qualità di membro del consiglio di indirizzo della Fondazione Ravello presieduta da Domenico De Masi.
La storia è tutta qui: la sala da musica progettata (gratuitamente, un regalo personale a De Masi) da Oscar Niemeyer, inaugurata a gennaio dopo tre anni di cantiere, dieci di polemiche, otto sentenze tra tribunali ordinari, Tar e Consiglio di Stato, non verrà usata nemmeno per le prove dal Ravello Festival, dedicato al tema della follia, e che attende ospiti internazionali come John Malkovich, Antonio Pappano, Dario Fo, Toquinho, Stefano Bollani.
Lo scontro è tra due mentalità e due culture del Sud. La prima, cosmopolita, incarnata da Domenico De Masi, sociologo, dal 2002 presidente della Fondazione (che si dimetterà alla fine di agosto, e con lui se ne andrà anche lo sponsor Monte dei Paschi, otto milioni di euro versati in questi anni) animatore di una Fondazione internazionale che sorregge il festival e vive per il 66% del bilancio grazie a sponsor privati e per il 34% con fondi pubblici, caso unico nel Sud. La seconda, legata alla realtà locale, rappresentata dal sindaco Paolo Imperato, eletto nel 2006 con la lista civica «La campana», da sempre nemica del progetto auditorium nato quando era al potere la lista «Insieme per Ravello».
De Masi rivendica l'intuizione dell'Auditorium (nato nel 2000 dall'amicizia con Niemeyer) come volano culturale per destagionalizzare l'offerta di Ravello: «Questa città di 2500 abitanti ospita diciotto alberghi di cui cinque a cinque stelle ma vive solo tra aprile e ottobre. Con una struttura simile il richiamo sarebbe stato possibile per tutto l'anno». Insomma, De Masi convince Niemeyer, ottiene 18,5 milioni di sovvenzione dall'Unione europea (nemmeno un euro italiano). Fondi che, su indicazione di De Masi, vengono affidati al Comune e non alla Fondazione «convinto che debbano essere gli enti locali a gestire ciò che riguarda il territorio».
Nei primi sei anni l'opposizione (attuale maggioranza) anima una rivolta anti auditorium sorretta da Italia Nostra («incompatibilità con l'ambiente»). Partono esposti, cominciano processi e sospensive. Ma dopo l'ultima sentenza del Consiglio di Stato (febbraio 2005) i lavori partono nel 2006 e finiscono nel 2009. Oggi la sala può piacere o non piacere, affascinare o apparire uno sfregio, ma è una realtà da 18.5 milioni di euro. Però chiusa. Perché? Il 2 ottobre 2009 il sindaco Paolo Imperato aveva sottoscritto un atto di comodato con cui affidava alla Fondazione la gestione della sala. Atto però bocciato (col voto contrario dello stesso sindaco) dal Consiglio comunale il 22 aprile 2010. Ovvero il Comune, proprietario dell'Auditorium, ha compreso la portata della scommessa e ha deciso di dar vita a una propria società di gestione. Alla Fondazione rispondono con un megaprogetto industrial-culturale per il lancio: festival autunnale («tendenze»), invernale (musica sacra) e primaverile (la natura), bilancio in pareggio in due anni, accordi con Salisburgo e la Chigiana, un milione e mezzo di euro di avvio in due anni dalla regione Campania e dalla provincia. Si sfoga De Masi: «Spero che l'Unione europea e lo Stato italiano chiedano conto della chiusura di questa sala e del suo incertissimo futuro».
Ribatte il sindaco Paolo Imperato: «La chiusura della sala? Complicanze e lungaggini meramente burocratiche, i vigili del fuoco procederanno al collaudo a metà luglio. La gestione? Il Comune ha candidato se stesso, abbiamo una lunga storia di ospitalità e di offerta culturale ben prima che arrivasse De Masi, disponiamo di tutte le carte in regola per gestire l'Auditorium. Abbiamo già contatti con Regione e Provincia per il finanziamento di avvio». Primo appuntamento a settembre, il convegno dell'Associazione nazionale dei magistrati. Certo, non ci sarà John Malkovich. Ma chissà, forse il cartellone proseguirà con avvocati e medici. L'indotto, a Ravello, è già in fermento.

da: Corriere della Sera, 29 giugno 2010, p. 41