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giovedì 20 ottobre 2011

Il rosso pompeiano in realtà era un giallo

«I gas dell'eruzione del Vesuvio alterarono i colori»

di Pierluigi Panza

Ci sono due gialli a Pompei. Il primo riguarda dove sia finita la legge sulle (180) assunzioni di personale; e questo giallo l'ha sollevato ieri la Cgil. L'altro riguarda il famoso rosso pompeiano che, in realtà, sarebbe un colore giallo modificato dai gas dell'eruzione vesuviana; e questa scoperta è stata presentata ieri da Sergio Omarini dell'Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ino-Cnr) di Firenze. «Grazie ad alcune indagini abbiamo potuto accertare che il colore simbolo dei siti archeologici campani, in realtà, è frutto dell'azione del gas ad alta temperatura la cui fuoriuscita precedette l'eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C.», ha spiegato Omarini in occasione della VII Conferenza nazionale del colore, che si sta svolgendo a Roma Presso l'Università La Sapienza. «Il fenomeno di questa mutazione cromatica era già noto agli esperti, ma lo studio realizzato dall'Ino-Cnr, promosso dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei in collaborazione con l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha permesso di quantificarne la portata, almeno ad Ercolano». Le indagini sono state condotte attraverso lo spettrofotocolorimetro per misurare il colore e la fluorescenza X, che ha consentito di rivelare la presenza di elementi chimici per escludere il minio e cinabro dalle pitture.
Detta così, la scienza costringerebbe a riscrivere diverse pagine di storia dell'arte nonché a sorridere delle molte rivisitazioni del passato, da quelle Rinascimentali a quelle del Secondo Impero sino ai molti interni in stile rosso pompeiano sparsi negli alberghi di tutto l'orbe terracqueo. Ma il dibattito sulla cromia delle architetture classiche è sempre stato argomento controverso e tema di forti scontri nella storiografia Sette-Ottocentesca. Sino agli studi (definitivi?) di Hittorf (Mémoire sur l'architecture polychrome chez les Grecs del 1830 e Architecture antique de la Sicile del 1867) molti ritenevano che l'architettura greca, e molte delle architetture antiche, non fossero policrome. Per quella romana, però, proprio gli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, iniziati negli anni Trenta del Settecento sotto i Borbone, avevano reso palese l'utilizzo del colore rosso nella pittura muraria, dipinta con il sistema all'encausto. Anzi, proprio negli scavi settecenteschi erano state messe a punto dal francese Canart le prime tecniche per lo strappo dei dipinti dalle pareti in rosso pompeiano. Suppellettili e pareti venivano infatti trasportate al Museo di Portici dove, secondo Winckelmann, venivano ampiamente manipolate. Le abitazioni scavate, invece, una volta prelevati i reperti venivano nuovamente ricoperte di sabbia.
Quel bel rosso, racconta oggi Omarini, «si otteneva con il cinabro, composto di mercurio, e dal minio, composto di piombo, pigmenti più rari e costosi, utilizzati soprattutto nei dipinti, oppure scaldando l'ocra gialla, una terra di facile reperibilità. Quest'ultimo effetto, descritto anticamente da Plinio e Vitruvio, si può percepire anche ad occhio nudo nelle fenditure che solcano le pareti rosse di Ercolano e Pompei», afferma lo scienziato. L'ocra gialla assunse poi la colorazione rossa a seguito dei gas eruttati dallo «sterminator Vesevo» (Leopardi). Lo scienziato si lancia anche in qualche dato numerico: «Le pareti attualmente percepite come rosse sono 246 e quelle gialle 57; ma stando ai risultati in origine dovevano essere rispettivamente 165 e 138, per un'area di sicura trasformazione di oltre 150 metri quadrati di parete».
Insomma, dei tanti rossi della storia dell'estetica, dal rosso Rubens al rosso Ferrari, dal Rosso Fiorentino al rosso di Valentino, viene (temporaneamente) derubricato il rosso pompeiano.

da: Corriere della Sera, 16 settembre 2011, p. 55