Pagine

domenica 25 gennaio 2015

Quel genio di Bramante arrivò in Lombardia

di Marco Bona Castellotti

La regolata mescolanza delle opere esposte nella mostra di Bramante a Brera e di quelle abitualmente residenti in pinacoteca, s’incrina quando nel percorso si staglia il candido colosso di Napoleone I ignudo, intrusione molto più traumatica di un normale pugno nello stomaco. A fronte del problema della mancanza di spazi espositivi nei grandi musei italiani - problema di cui i curatori della rassegna su Bramante sono consapevoli - va riconosciuto che nessun altra istituzione al mondo avrebbe potuto aspirare di celebrare, a cinque secoli dalla morte, con pari dovizia di testi figurativi, Bramante pittore. È infatti nella pinacoteca milanese che si conserva il maggior numero di dipinti dell’artista marchigiano, autografi o realizzati con la collaborazione di aiuti.
La mostra si articola in cinque sezioni. La prima attesta la formazione avvenuta a Urbino e l’approdo di Bramante, nel 1477, a Bergamo, dove lavora alla decorazione del palazzo del Podestà, oggi in gran parte perduta. Il lacerto meglio conservato, e certamente di mano sua, raffigura Chilone, uno dei sette Savi dell’antichità, «origine e radice della sapienza morale», che balza all’occhio dell’osservatore con una monumentalità pienamente rinascimentale e sino a quel momento ignota alla pittura lombarda.
Il secondo capitolo s’irradia dall’epicentro dell’incisione Prevedari, così chiamata dal nome dell’orafo che nel 1481 la eseguì a bulino, prendendo spunto da un’invenzione bramantesca che ebbe immediato seguito. Se ne conoscono due soli esemplari, ma, data la diffusione, la tiratura doveva essere stata abbastanza alta.
La stampa esercitò un’indubbia influenza su artisti di diversa specializzazione, che ne colsero i valori decorativi e prospettici, visibili per esempio nel colonnato e nell’oculo posto entro una lunetta, dove è incastonato un mezzo busto visto da tergo. Entrambi i dettagli ricompaiono, praticamente come fossero citati, in un bel rilievo marmoreo dei Musei civici di Pavia.
La lezione impartita da Bramante in Lombardia fu d’ordine specialmente architettonico, ma si estese anche al campo della scultura; lo constatiamo nel frammento di marmo di Giovanni Antonio Amadeo, che rappresenta il particolare di una scena sacra, forse di una Natività.
Sezione compatta e “indigena” è quella degli affreschi degli Uomini d’arme, conservati, sino agli inizi del Novecento, nella dimora di Gaspare Ambrogio Visconti, che sorgeva nei pressi della basilica di Sant’Ambrogio; di lì furono trasferiti a Brera. Gli Uomini d’arme e i due filosofi Eraclito e Democrito, personificazioni degli umori opposti del pianto e del riso, dovevano produrre un «effetto teatrale, aumentato, per contrasto, dal complesso apparato architettonico illusorio» . Alle espressioni variamente atteggiate degli Uomini d’arme, si contrappongono certe testone coeve in terracotta di produzione lombarda. Se ne espone una, la Testa di “barone”, di un ignoto plasticatore attivo negli anni Ottanta del Quattrocento che ha enfatizzate il collo taurino, le mascelle squadrate, le ciocche dei capelli ben spazzolati del barone, fiero come un gerarca di provincia. Il carattere che qualifica questa terracotta è un dichiarato (o preteso) ritorno all’ antico, tradotto in un realismo rurale al limite del grottesco.
Quarto capitolo: cosa accadde a Milano «intorno al Cristo alla colonna» , dipinto celeberrimo sulla cui autografia - a quanto si dice - «il dibattito è ancora aperto». A contendere la paternità bramantesca di questa tavola, già nell’abbazia di Chiaravalle, sarebbe Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, allievo di Bramante e autore del Cristo oggi a Madrid, interpretato come risorto.
Per inciso, domando sulla base di quali ragioni teologiche il risorto - ammesso che qui Cristo sia veramente tale - venga raffigurato afflitto e con gli occhi cerchiati di pianto. Entrambi i quadri, il Cristo alla colonna di Bramante e Cristo passo-risorto di Bramantino, hanno posto interrogativi iconologici, alimentati anche dalle singolari aperture di paesaggio nello sfondo. Accanto al Cristo alla colonna di Brera troviamo un’incisione mantegnesca e il superbo disegno con San Cristoforo di Copenaghen che alcuni esegeti ancora esitano ad attribuire a Bramante. Che aspettano?
La quinta sezione apre al contesto lombardo e alle ripercussioni dei modelli bramanteschi sugli artisti contemporanei, qui testimoniate dalla Madonna in trono di Butinone, di collezione privata, e da due tavole di Ambrogio Bergognone della raccolta Borromeo, opere tutte elevatissime. Chiude l’interessante mostra Bramantino, con la Crocifissione e l’affresco della Pietà, menzionato da Vasari, d’impronta palesemente bramantesca.

da: Il Sole 24 Ore, domenica 25 gennaio 2015, p. 36